Salvatore Giuliano, il re di Montelepre, toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Questa è la sua vera storia, raccontata dal nipote Giuseppe Sciortino.http://cuibevitapalermo.blogspot.it/2012/03/neobriganti-la-vera-storia-di-salvatore.html
Salvatore Giuliano, il re di Montelepre, toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Questa è la sua vera storia, raccontata dal nipote Giuseppe Sciortino.BRIGANTE SE MORA IL CANTO POPOLARE MISTIFICATO DA BENNATO?
Da sempre Eugenio Bennato sostiene di aver scritto insieme a Carlo D'Angiò “Brigante se More" compiacendosi, a detta sua, che la gente creda che sia un canto popolare della tradizione.
Il dilemma sembra risolversi, nel libro: "Briganti e partigiani" - a cura di: Barone, Ciano, Pagano, Romano - Edizione Campania Bella, che riporta il testo e che accrediterebbe questo canto alla tradizione lucana, cui titolo originale è “Libertà” e si differenzierebbe da quello di Bennato per due particolari, alla seconda ed ultima strofa, dove al posto di «E mò cantamme sta nova canzona, / tutta la gente se l'adda 'mparà, / nuie cumbattimmo p' 'o rre burbone / e 'a terra nosta nun s'adda tuccà! » e « Ommo se nasce, brigante se more, /ma fino all'ultimo avimma sparà, / e si murimme menate nu sciore / e na preghiera pe' sta libertà! » sarebbero state sostituite con le più strumentali: «E mo cantam' 'sta nova canzone / tutta la gente se l'ha da 'mparà / nun ce ne fott' do' re burbone / a terra è a nosta e nun s'ha da tuccà / a terra è a nosta e nun s'ha da tuccà» e «Omm' s' nasc' brigant' s' mor' / ma fin' all'utm' avimm' a sparà / e se murim' menat' nu fior' / e 'na bestemmia pe' 'sta libertà / e 'na bestemmia pe' 'sta libertà».
Del tutto plausibile per alcuni motivi:Cosa dire, prima o poi la verità esce a galla (quella documentata), così fosse Eugenio Bennato ne uscirebbe con una brutta figura... vedremo.
NEOBRIGANTI
LE CIFRE DI UNA TRAGEDIA
Tanto o niente si è scritto su questi dieci anni di cronaca italiana, a seconda di come si consideri la faccenda; ma spesso lo si è fatto travisando gli avvenimenti, rispetto a quanto emerge dagli atti di archivio o ignorandoli del tutto sui libri di scuola. Questi dieci lunghi anni spesso sono stati cancellati tout court, come a voler disconoscere quel profondo malessere e quella tremenda sofferenza in cui versavano le masse popolari del meridione; un rigetto a considerare quell’embrione di lotta di classe che avrebbe rappresentato il fulcro degli avvenimenti italiani e non solo, nel primo scorcio del ventesimo secolo. Ancora oggi, dopo una parziale riabilitazione delle “ragioni” popolari e della figura del “brigante”, ad opera di una storiografia più illuminata e obiettiva, vedono la luce opere tendenziose e anacronistiche, a cui piace anteporre alle disastrose condizioni sociali ed economiche dell’epoca, la sola cosiddetta “ragion di stato”. Daltronde dietro gli impulsi di fumoso patriottismo, ipocrita moralità civica e virilità militaresca, che contraddistinguono e infarciscono abbondantemente questi testi, si è pronti sempre a nascondere le stragi, i saccheggi, le brutalità, troppe volte perpetrate con crudeltà e senza discernimento alcuno, da un esercito in fondo sceso in queste terre come i precedenti: la mano forte cioè, di uno stato estraneo e lontano, di cui il popolo nulla conosce, impositore solo di leggi e gabelle come sempre esose e insostenibili.
I governi che hanno assistito alla recrudescenza del brigantaggio -per certi versi endemico-, hanno reagito forse legittimamente al sommovimento sociale, ma con uguale ferocia e brutalità; accomunando insieme sotto il termine spregevole di “brigante”, ufficiali borbonici, ex garibaldini, renitenti alla leva, ma anche legittimisti francesi, spagnoli, tedeschi, manutengoli, criminali comuni e soprattutto braccianti e contadini.
(http://gguzzardi.interfree.it/briganti_2.htm)
rio, espressione sociale di nuove ed endemiche difficoltà meridionali, confluiscono motivazioni diverse, dall’esasperazione contadina per l’insoluto problema delle terre al legittimismo borbonico, dall’avversione verso i “galantuomini” pronti a schierarsi con la nuova classe dirigente all’ostilità per le regole imposte dal governo piemontese, dalla leva obbligatoria al prelievo fiscale. Costante ed evidente risulta l’attrito del nascente stato italiano nel penetrare nei territori annessi. La letteratura sull’argomento è oggi vasta e sempre più esaustiva, soprattutto nella misura in cui il fenomeno è stato letto come risposta ad una mancata “rivoluzione agraria”, come tentativo legittimista, come guerra civile. Più di recente, il quadro si arricchisce di ulteriori aspetti, piuttosto insoliti per una storia al “maschile” fatta di ribelli fuorilegge, ed è la partecipazione della donna alla lotta brigantesca, ora fiancheggiatrice ora essa stessa a capo di una banda.